Ciao Mary, benvenuta su Victoria's Grace. Per iniziare puoi raccontarci chi è davvero “Maria” fuori dai social?
Sono una ragazza semplicissima, molto diversa da come posso sembrare online. Sui social mostriamo spesso la parte migliore di noi, un’immagine filtrata, più sicura. Ma nella vita vera sono super alla mano.
Spesso mi capita di incontrare persone che mi dicano: “Pensavo fossi meno abbordabile!” – invece sono molto più semplice di quanto appaio.
Sto cercando di usare sempre meno filtri e ritocchi. È naturale voler mostrare il meglio di sé, ma penso sia importante far vedere anche il lato più autentico.
Non sono una persona che ha bisogno dell’ultralusso: mi rende felice anche un panino col salame al mare!
Cosa non deve mai mancare nel tuo guardaroba?
Un tubino nero: è un passe-partout per qualsiasi occasione, cena o evento.
E ovviamente un bel paio di jeans.
Sul lavoro sono molto formale, circa l’80% del mio guardaroba è impostato così: camicie, pantaloni taglio maschile, magari un bel completo gessato.
Mi piace lo stile classico, anche se in vacanza mi concedo qualcosa di più estroso. Ma mai volgare: mi piace giocare con l’equilibrio – se è corto sotto, è coperto sopra, o viceversa. Sexy sì, ma sempre con eleganza.
Se i social sparissero domani, chi saresti?
I social sono nati come hobby per me, non sono mai stati il mio lavoro principale.
Ho sempre fatto altro, anche nel campo delle risorse umane.
Se sparissero, sarei comunque una creatrice di contenuti: oggi sto lavorando a un podcast, quindi continuerei a raccontare storie, condividere esperienze.
Credi che le donne siano più giudicate per come si vestono rispetto agli uomini?
Non giudico, non mi piace farlo. Anzi, se vedo una donna vestita bene, glielo dico: trovo che i complimenti tra donne siano qualcosa di bellissimo e sincero.
C’è sempre più solidarietà femminile, e questo mi piace molto.
Come reagisci quando qualcuno dice che certi ruoli o ambienti “non sono da donne” come lo stadio?
Il 70% del mio pubblico sui social è maschile, ma ho ricevuto feedback molto positivi.
Le donne dovrebbero vivere lo stadio molto di più: è un luogo per tutti, bambini, donne, uomini.
Ho avuto la fortuna di andare all’Allianz Arena di Monaco (sono originaria di lì) ed è stato bellissimo.
Certo, qualche commento spiacevole c’è stato: tipo chi dice che lo stadio è pieno di maniaci, e che dipende da come ti vesti… ma questa è una scusa ridicola.
Se uno non riesce a controllarsi per una minigonna, il problema non è la donna, è lui.
C’è sempre una questione di gusto: io preferisco un’eleganza che lascia spazio all’immaginazione.
Anche nel calcio il ruolo delle donne sta cambiando: pensa che la squadra femminile del Barcellona oggi riempie lo stadio, quando fino a pochi anni fa non ci riusciva.
Io non sono mai stata fan del calcio, mi ci ha avvicinata il mio ex: lo facevo per lui all’inizio, ma poi mi sono appassionata. Adesso mi emoziono anch’io allo stadio – anche se sono più tifosa di tennis!
Che cos’è per te una “red flag” oggi, in amore o amicizia?
Una red flag enorme per me è quando, già al primo appuntamento, ti parlano come se foste già in una relazione. Tipo: “Immagina se vivessimo insieme, i nostri figli…”
No! Prima ci si conosce, poi si decide.
Un’altra? Quando qualcuno ti scrive solo via social, anche dopo essere uscite, ma non ti chiede mai il numero. Per me è strano. Uso Instagram anche per lavoro, non ho le notifiche attive: se vuoi parlarmi davvero, dammi un numero!
E sai qual è una mia personale red flag che sembra piccola ma dice tanto? Se usciamo per bere qualcosa e non mi versi nemmeno un bicchiere. Per me è un gesto di attenzione.
Che significato ha per te oggi l’indipendenza femminile, anche nelle relazioni?
L’indipendenza è fondamentale.
Attenzione: non parlo dell’“indipendenza da valigia”, quella del “faccio tutto da sola e guai se mi aiuti”.
Per me l’indipendenza è poter scegliere di stare con qualcuno – ma anche poter scegliere di andarsene, se quella relazione non ti fa più bene.
Troppe donne restano legate per motivi economici, familiari, o per abitudine.
Io vengo da genitori separati, e ti dico: sono felice che si siano lasciati quando ero piccola. Oggi hanno vite serene, e anche io sono cresciuta in un ambiente sano.
Negli anni ’80 e ’90 ci si sposava dopo tre mesi, senza conoscersi davvero. Oggi, per fortuna, abbiamo più strumenti per capire chi siamo – e quando è il momento di andar via.
Da poco hai lanciato il tuo podcast It’s Complicated: di cosa parli?
Parlo di relazioni, ma non da esperta “di libri”: sono esperta di vita vissuta.
Racconterò storie vere, episodi in cui tante persone possono riconoscersi.
Anche esperienze come le relazioni tossiche, come quella con un narcisista – un termine abusato oggi, ma che tocca davvero tanti di noi.
Affronterò il tema delle relazioni in generale: sentimentali, amicali, familiari, professionali.
Ci saranno momenti divertenti, altri più intensi. Sarà su tutte le piattaforme e anche in radio, con una prima stagione di 5 puntate.
Perché proprio il titolo “It’s Complicated”? Ti ci rispecchi?
Assolutamente sì.
Ho vissuto tante situazioni complicate, fatte di scelte che è difficile spiegare.
Sai quando cerchi di raccontare una storia e ti viene da dire: “Eh... è complicato”?
È come quello status di Facebook: single, fidanzato, è complicato.
Ecco, mi ci ritrovo. E penso anche tanti altri.